Niccolò Matteo Monicelli

di Patrizia Mezzanzanica

Sognatore, Guerriero, Altruista. Sono le parole con cui si descrive Niccolò Matteo Monicelli, amministratore delegato di Simonetta Group a cui spetta il compito, in gran parte già realizzato, di fare di un’azienda storica di abbigliamento bambino, la più grande piattaforma italiana del children’s wear del lusso. Originario di Roma, dove vive, si muove fra Milano e Jesi, nelle Marche, dove ha sede il Gruppo. Di Roma ama la luce, unica al mondo, Milano la conosce molto bene perché per tanti anni è stata la sua base lavorativa (escluse le parentesi londinesi e americane) e Jesi è la scoperta recente, una cittadina dove è possibile coniugare lavoro ed eccellenza, alla qualità di vita e al benessere fisico ed intellettuale. Ognuno di queste città ha un luogo che gli è particolarmente caro e frequenta con assiduità: il Circolo del Tennis al Foro Italico a Roma, la zona dei Navigli a Milano, dove ha sede anche il nuovo showroom, e il ristorante di Alison e Andrea, in piazza delle Grazie a Jesi, che per lui è diventato quasi una seconda casa. Se dovesse consigliare ad un turista cosa visitare sarebbero sicuramente S. Clemente nella capitale, perché da lì è davvero possibile vedere la “stratificazione” avvenuta nei secoli, il Cenacolo in Santa Maria delle Grazie a Milano, e la Pinacoteca Comunale di Palazzo Pianetti, dove si trovano ben cinque capolavori di Lorenzo Lotto, nel comune marchigiano.  È sposato con Uberta e insieme hanno cresciuto Leonardo, che gli ha regalato le emozioni più intense. Pur essendo molto legati, Leonardo e Niccolò Matteo hanno caratteri diversi. Mentre il primo è un ragazzino calmo e riflessivo, ma anche determinato, che vive la scuola senza ansie, lui, a questo stadio zen, ci sta arrivando solo ora. Questione di generazione forse, ognuna ha le sue caratteristiche, oppure, più verosimilmente, espressione di come funzioni un buon rapporto, dove ognuno è disposto ad imparare dall’altro.

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Niccolò Mattia Monicelli

Dal 2019 lei è amministratore delegato di Simonetta Spa, un’azienda storica che sta attraversando una grande rivoluzione. Ce la racconta?

 

Rispetto agli anni ’80 e ’90 il mercato è completamente cambiato. Allora i marchi bambino vivevano di collezioni che rappresentavano solo quella realtà, poi sono arrivate le grandi maison e hanno rivoluzionato tutto. L’identità di un brand bambino, specialmente nel settore del lusso, oggi deve avere un riferimento anche nell’adulto. Questo è il futuro.  I grandi marchi stanno crescendo fra il 6 e il 10 % l’anno e non solo hanno conquistato il mercato, ma ne hanno creato di nuovi. D’altra parte, però, il know-how di persone, contatti, conoscenze e professionalità di Simonetta non poteva andare perso. Così come non poteva andare persa l’azienda e la catena produttiva che aveva creato a Jesi, perché è anche su queste basi che si fonda il nostro progetto: realizzare la piattaforma ideale per produrre e sviluppare le collezioni lusso del bambino.

 

Cosa la stimola maggiormente del suo lavoro?

 

La possibilità di creare qualcosa di unico e dimostrare che la piccola media impresa, in Italia, sebbene in un segmento molto piccolo, può diventare una realtà mondiale di assoluto valore. Abbiamo progetti per crescere sempre più, e sempre più consapevolmente. In azienda ci sono palestra, piscina, due sale relax con camino, stiamo realizzando un piccolo campo da pallacanestro e uno da calcetto, dove già immagino sfide appassionate, sul nostro terreno crescono e danno frutti più di cento ulivi, fra poco avremo l’impianto fotovoltaico: tutti progetti per crescere non solo come volumi e redditività, ma come una azienda fuori dall’ordinario. I miei mentori sono Adriano Olivetti e Alessandro Rossi. Credo fermamente che in un ambiente di lavoro alle persone debba essere data la possibilità di starvi piacevolmente, perché si crea, si sogna, si sorride, si fatica, (certo che si fatica!), ma in un ambiente intellettualmente e culturalmente stimolante. Stiamo investendo molto. Abbiamo acquistato la villa che era annessa alla proprietà e ne abbiamo cambiato la destinazione d’uso da residenziale ad ufficio perché volgiamo mandare al territorio il messaggio che noi, da lì, non ci muoviamo, e che ci sono tutte le condizioni per sviluppare una grande storia. Se a questo unisce che per me, moda e lusso hanno sempre rappresentato un ideale di perfezione, direi proprio che ho fatto bingo!

 

Quali sono i traguardi che si è posto nello sviluppo del Gruppo?

 

Crescere fino a diventare la più grande piattaforma del lusso nel settore bambino offrendo un servizio diversificato e personalizzato.  Ci sono marchi per i quali ci occupiamo di tutto: sviluppiamo la collezione, ne realizziamo i modelli e i prototipi, la produciamo e, attraverso la nostra rete commerciale molto organizzata, ci facciamo carico della distribuzione. Ci sono altri marchi che, invece, distribuiscono dai loro centri logistici perfettamente attrezzati. E poi ci sono brand che, con noi, fanno solo una parte della loro produzione, per esempio maglieria o capispalla, e poi si occupano da soli della commercializzazione.  Speriamo di diventare presto anche un aggregatore di piccoli marchi da far entrare nel Gruppo come marchi di proprietà da aggiungere a Simonetta. Tutto questo fa parte della strategia che ha trasformato Simonetta brand in Simonetta Group.

 

È questa diversificazione dell’offerta quello su cui punta Simonetta per acquisire sempre più licenze?

 

Io considero le collezioni bambino come quelle degli occhiali, o dei profumi o della cosmetica. Tutti i grandi marchi hanno queste linee che considerano adiacenze al loro core business, e per la loro realizzazione si affidano a specialisti. La produzione del bambino è molto difficile, la distribuzione è completamente diversa da quella dell’adulto, molto meglio, quindi, affidarsi a chi è più esperto. In questo modo vengono garantite serietà e un più corretto posizionamento del brand.

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l’azienda

Cosa sente di potere comunicare di positivo alle aziende del settore che stanno affrontando una crisi economica globale?

 

Credo che bisogna essere realisti. il mercato è cambiato. Ci sono fattori esterni che oggi hanno una grande rilevanza e non rappresentano più un evento straordinario ma la normalità. Non basta avere un bel prodotto, bisogna capire i nuovi mercati e capire se ci sono dei cambiamenti strutturali. La piccola media impresa deve crescere come dimensione, oppure si deve consolidare, perché tutto il know-how che esiste sul territorio non deve andare perso. In Simonetta tuteliamo i nostri fornitori facendoli entrare in un’unica rete, senza lasciare indietro i più piccoli che, da soli, non potrebbero più farcela.

 

C’è stata un’acquisizione di brand che l’ha particolarmente gratificata?

 

Forse quello di cui sono più fiero è Stella McCartney perché era un brand che veniva prodotto “in house” e funzionava molto bene ma che, per i motivi che ho espresso prima, l’azienda ha preferito affidare ad uno specialista. I risultati delle prime due stagioni sono esaltanti, ciò significa che la nostra strategia sta funzionando.

 

Ci elenchi i capisaldi della sua filosofia manageriale.

 

1.Etica, sostenibilità e diversità. La nostra è un’azienda fatta dalle donne per le donne che rappresentano l’85% di tutto l’organico, compresi due dei miei quattro direttori.

2.Meritocrazia. I premi di produttività lanciati a pioggia non servono a niente. C’è chi si merita di avere incrementi di stipendio ogni sei mesi e chi deve avere quello stabilito dal contratto nazionale.

3.Velocità decisionale. Meglio prendere dieci decisioni di cui due sbagliate, che prenderne solo due perché una decisone non presa è già una decisone sbagliata.

4. Fare qualcosa di diverso, non applicare sempre gli stessi schemi. Per il nostro responsabile sicurezza, per esempio, aprire la piscina e fare i corsi di aquagym, come ho proposto, è complesso. Lavorerò comunque in quel senso perché io desidero un ambiente divertente e scoppiettante, non una realtà aziendale grigia e noiosa. Il lunedì mattina non deve essere un sacrificio tornare al lavoro, ma l’opportunità di rivedere i colleghi e raccontarsi il fine settimana, magari davanti al camino acceso. Poi toccherà lavorare duro, però in un bell’ambiente. È un po’ come quando ero al liceo e ogni lunedì ritrovavo i miei compagni: parlavamo di filosofia, di storia, di greco. Ero felice, e vorrei tanto riportare questo spirito anche qui.

 

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